Il "diventa te stesso" secondo Laing
Nel suo libro più
controverso, La politica dell’esperienza,
Laing annuncia solennemente che “il terribile è già accaduto”, spiegando
come tutto quello che c’è di orribile nella psichiatria non è altro che il riflesso
dello stato di alienazione in cui versano le nostre vite: “questa convinzione
di base ci impedisce di accettare qualsiasi univoca concezione di una sanità
del senso comune o di una pazzia del cosiddetto pazzo”. Infatti, la tendenza
scientifica a considerare delle persone come automi privi di volontà da
manipolare a piacimento è il corrispettivo di ciò che la società attuale ci
impone di essere, degli uomini che abdicano alle loro autentiche possibilità
per conformarsi allo spirito delle formiche. Come biasimare, dato questo
agghiacciante scenario, il folle che grida al mondo la sua disperazione? E come
perdonare ai più cinici e fortunati il loro infelice (e vano) conformismo? “Al lume dell’esiliata verità” fare scienza e fare politica appaiono
dunque la stessa cosa: secondo Laing chiedere, anzi pretendere di poter
studiare liberamente qualsiasi fenomeno umano, lottare per rendergli il suo
valore e insistere per donargli il suo autentico significato, sono insieme un
irrinunciabile presupposto metodologico, un principio etico e un atto
rivoluzionario: il suo modesto contributo per una società migliore è quello di
denunciare attraverso la sua attività questa situazione e di provare nel suo
piccolo a modificarla: si tratta in fin dei conti di una posizione che si
potrebbe definire riformista se non quasi restauratrice di un’ipotetica quanto
ingenua età dell’oro del genere umano.
A contraddire questo basso profilo c’era però la crescente sovraesposizione
del personaggio Laing, sempre pronto a dire la sua sui più svariati argomenti e
ad ostentare un’estrema abilità nel ricondurli tutti alla sua originale filosofia.
Così, ad esempio, poteva capitargli di giudicare “emotivamente dissociate” le
giovani coppie che anteponevano la carriera alla condivisione dei loro
sentimenti o di impelagarsi in un’ardita disamina del caso Watergate
sviscerando il sistema politico americano attraverso il suo collaudato schema
relazionale, evidenziando la legge della menzogna che impera nei palazzi del
potere e l’implicita collusione dell’opinione pubblica con questo stato di cose,
e giungendo alla conclusione che il povero Nixon non era altro che l’ingenua
vittima di un sistema fantastico allo stesso modo dei poveri schizofrenici: e
chissà se il povero ex Presidente si sentisse rincuorato da questa bizzarra
difesa od offeso dall’implicito paragone con gli psicotici.
Tuttavia sarebbe ingiusto sostenere che dietro questo comportamento ci
fosse solo la civetteria tipica dell’intellettuale impegnato: Laing sentiva
attraverso le sue sensibilissime antenne che il benefico processo di revisione
delle pratiche psichiatriche che era riuscito a mettere in moto poteva andare
avanti solo se fosse riuscito a trovare una vasta eco presso la pubblica
opinione. In effetti, era parso subito chiaro che dagli ambienti specialistici
c’era poco o nulla da sperare: una prova di questo stato di cose Laing lo ebbe
probabilmente dalle crescenti critiche che subì non il suo lavoro (che del
resto ne offriva ampia materia) bensì la sua persona. Una nutrita schiera di
suoi colleghi, molti dei quali non avevano mai avuto il dispiacere di
conoscerlo di persona, cominciò ad avanzare l’ipotesi che fosse uno
schizofrenico, un pericoloso paranoico col segreto intento di trascinare le
masse nella sua follia, non rendendosi probabilmente conto che un’accusa di
questo genere non inficiava ma rafforzava le imputazioni di cui erano fatti
carico dal movimento antipsichiatrico: in fin dei conti non aveva tutti i torti
Laing a sostenere che lui, da solo, era riuscito a dimostrare a milioni di
persone che “il 90% degli psichiatri ha il cervello pieno di merda”. (...)
Secondo Peter Mezan il motivo per cui Laing metteva a disagio gli altri
non dipendeva tanto da ciò che faceva quanto da quello che non faceva: pur
essendo sempre correttissimo, aveva la capacità di andare subito al sodo senza
dare all’interlocutore nessuno di quegli appigli cui si ricorre di solito per
avviare una discussione tra estranei: ogni alone di convenzione era destinato a
scomparire quando si aveva a che fare con lui. Ma ciò che doveva impressionare
non erano tanto i modi bruschi di Laing quanto la sua coerente imprevedibilità:
questo uomo di carattere aveva la capacità di “passare tutta la gamma delle
emozioni umane, entrando in una personalità dopo l’altra, cambiando perfino
sesso, ed apparendo in ciascuna integralmente se stesso”. Questa sconvolgente
deformazione professionale era solo in apparente contrasto con l’opinione di
Laing sull’empatia, che egli ritenne sempre un concetto poco meno che
truffaldino essendo uno strenuo sostenitore dell’impossibilità per chiunque di
“mettersi nei panni dell’altro”: in realtà, il contratto che aveva stipulato
con la sua mente di poter spaziare in lungo e largo era figlio della sua
radicata convinzione che il dovere di uno psichiatra fosse quello di essere una
cassa di risonanza dei fermenti del paziente: tra il serio e il faceto, una
volta disse di essere d’accordo nell’equiparare il ruolo dello psichiatra a
quello della prostituta, nel senso etimologico di prendere il posto di qualcuno
o di qualcosa. (...)
Bisogna, inoltre, dire che Laing si preoccupò ben poco di non venire frainteso.
L’errore grave fu quello di battezzare il processo metanoia, un termine che letteralmente significa “mutamento della
mente” ma che ha alle spalle una storia plurimillenaria che affonda le sue
radici addirittura nel Nuovo Testamento. Per i primi cristiani la metanoia era la conversione, il
conformare le proprie vite al Verbo di Cristo, il che implicava indubbiamente
una morte e una rinascita, ma da intendersi esclusivamente come un radicale
passaggio da una dimensione regolata da valori terreni ad una ispirata da
istanze spirituali; più laicamente, per Laing la metanoia è un esperienza che,
pur essendo probabilmente il fondamento del sentimento del trascendente,
risponde magnificamente all’esortazione paganeggiante di Nietzsche “diventa te
stesso”. Ma
l’equivoco era nella natura delle cose, e Laing aggiunse alla sua già
controversa fama il titolo di stregone (...). Il merito della metanoia fu
quello di rovesciare questo stato di cose donando per la prima volta alla
follia una dimensione propositiva, e non deve affatto ingannare l’oscillazione
del processo metanoico tra la liberazione e l’alienazione definitiva. La
patologia psichica come regressione è sempre stato un concetto cardine della
psichiatria per il semplice motivo che le permetteva di donare alla malattia
mentale il sostrato positivistico della teoria dell’evoluzione: secondo questa
concezione, la follia sarebbe una malattia della mente nella misura in cui si
muoverebbe in direzione ostinata e
contraria al normale fluire
dell’evoluzione psichica: sarebbe come dire in campo biologico che l’uomo a un
certo punto della sua storia tornasse ad essere una scimmia.
Il nodo centrale della questione risiede dunque nel fatto che la metanoia
disintegra qualsiasi possibilità di approdare ad una teoria della follia: la stessa
psicologia è destinata a risolversi in una psicografia incapace di stabilire
paradigmi epistemologici univoci, eziopatogenesi o ricette terapeutiche.
Potrebbe sembrare che nell’assumere questa posizione Laing si condanni da solo
al fallimento: in realtà si tratta dell’unica conclusione cui poteva giungere a
partire dalle premesse da cui era partito: il rifiuto dell’assioma di una
follia assimilabile al concetto positivistico di malattia mentale rende
velleitaria qualsiasi fissazione di determinazioni universali o causali, siano
esse di natura biologica o – si badi bene – di natura sociale. (...)
Fu così che l’arrabbiato rivoluzionario si appassionò della meditazione
buddista Theravada ottenendo
risultati migliori di molti santoni orientali, si dedicò agli studi sull’uso
terapeutico dell’Lsd trovandovi la conferma delle sue idee sull’estensione temporale
della mente umana, ma soprattutto si abbandonò al suo antico amore per
l’embriologia tornando ripetutamente e quasi ossessivamente sull’incredibile
trauma della nascita, al confronto del quale persino il ricordo delle
precedenti incarnazioni o delle esperienze come vegetali, minerali o pura
energia impallidiscono.Ma se il disimpegno gli alienò le simpatie dei sovversivi, in compenso la
svolta psichedelica guadagnò a Laing le simpatie dei giovani mistici che in
quel periodo sciamavano soprattutto nel movimento underground londinese. La realtà era la solita: si trattava dell’ennesima,
esiziale trasfigurazione del suo lavoro e soprattutto della sua figura: il
problema è che si trattava di quella definitiva. Del resto, se
l’antipsichiatria non è andata oltre la benefica chiusura delle strutture
manicomiali è dovuto al procurato aborto che i fumi delle ideologie e delle
mode hanno perpetrato nei suoi confronti. Purtroppo, nulla rimane di vivo e
operante dell’impresa teorica di Laing nell’epistemologia psichiatrica, nemmeno
lo spirito di conciliare la ricerca della verità con l’afflato etico: se ve ne
fosse traccia, sarebbe infinitamente migliore di quella che è.
Mi dicono che:
Tutto in tutti
Ciascun uomo in tutti gli uomini
tutti gli uomini in ciascun uomo
Tutto l’essere in ciascun essere
Ciascun essere in tutto l’essere
Tutte le cose in ciascuna cosa
Ciascuna cosa in tutte le cose
Tutte le distinzioni sono mente, con la mente, nella mente, della mente
Niente distinzioni niente mente per distinguere.
(Ronald D. Laing)
Ciascun uomo in tutti gli uomini
tutti gli uomini in ciascun uomo
Tutto l’essere in ciascun essere
Ciascun essere in tutto l’essere
Tutte le cose in ciascuna cosa
Ciascuna cosa in tutte le cose
Tutte le distinzioni sono mente, con la mente, nella mente, della mente
Niente distinzioni niente mente per distinguere.
(Ronald D. Laing)
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